Le speculazioni in corso sul prezzo del grano mettono a rischio la sopravvivenza di duecentomila aziende agricole e, con esse, la sovranità alimentare del Paese, aggravando la dipendenza dall’estero. A lanciare l’allarme è la Coldiretti con le importazioni di prodotto dalla Turchia e dalla Russia che stanno mettendo in ginocchio i produttori dello Stivale, dove le quotazioni sono scese ampiamente al di sotto dei costi di produzione.
“Occorre un impegno immediato per sostenere le aziende agricole italiane, portando a 30 milioni di euro la dotazione del Fondo nazionale per i contratti di filiera del grano – osserva il presidente di Coldiretti Como Lecco Fortunato Trezzi – lavorando per prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la legge di contrasto alle pratiche sleali”.
Dopo che nel 2023 sono arrivati quasi 900 milioni di chili di grano russo e turco, un’invasione mai registrata nella storia del nostro Paese, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga, il Tmo, l’ente statale turco per i cereali, avrebbe bandito – sottolinea Coldiretti – una nuova gara internazionale per la vendita e l’esportazione di ulteriori 150 milioni di chili di prodotto, con il termine fissato all’11 marzo per la presentazione delle offerte.
Prezzi del grano nazionale in caduta libera.
Un vero e proprio fiume di prodotto che, aggiunto a quello di grano canadese arrivato a superare il miliardo di chili, ha impattato sui prezzi del grano nazionale, praticamente in caduta libera.
Le aste turche del frumento affossano ancora i prezzi del grano italiano, con il crollo delle quotazioni, mentre nei porti continua il via vai di navi mercantili provenienti dalla Turchia. Le navi raggiungono i porti italiani anche con triangolazioni attraverso altri porti intermedi, cariche di grano estero che sta facendo crollare i compensi riconosciuti agli agricoltori, in netta controtendenza rispetto all’aumento dei prezzi di vendita della pasta in crescita al dettaglio” osserva Trezzi.
Si tratta di valori che – rileva la Coldiretti – portano la coltivazione sotto i costi di produzione, rendendola di fatto antieconomica ed esponendo le aziende agricole al rischio crack, soprattutto nelle aree interne senza alternative produttive. Un abbandono dei terreni che pesa anche sull’assetto idrogeologico del Paese – conclude Coldiretti – aprendo al rischio di desertificazione.